UGO PANELLA | The Last Harbour

Ugo Panella | The Last Harbour

Dove: Oratorio

Incontro con l’autore: 
sabato 3 settembre | ore 20.00
Presentazione della mostra The Last Harbour

+ EVENTO SPECIALE!
c/o MuPre – Museo della Preistoria
sabato 3 settembre | ore 21.30
Una storia afghana lunga 43 anni

_____

The Last Harbour

Affacciata al nord-est del golfo del Bengala, in prossimità del confine birmano, c’è Chittagong, una cittadina portuale che negli anni è diventata famosa per lo smantellamento di navi in disuso che arrivano da varie parti del mondo.

Lungo il suo litorale, lungo 20 chilometri, si sviluppano più di 80 cantieri di demolizione dove 200.000 lavoratori bengalesi recuperano milioni di tonnellate di materiali da oltre 100 navi all’anno. Questi uomini lavorano in condizioni difficili per clima e sicurezza e sono i disperati della terra.  La fiamma ossidrica e le braccia sono le loro uniche risorse per sezionare navi di grandi dimensioni, svuotarle all’interno e tagliare grandi rettangoli di lamiera pesante che vengono portati, dalla nave al cantiere, sulle spalle da diecine di uomini. Un passo falso nella sabbia bagnata e il rischio di essere schiacciati dai quintali di peso è presente e reale. Un lavoro di fatica inumana pagato appena 2 dollari al giorno e senza nessun tipo di protezione.  È proprio il salario quasi inesistente che produce economia ai tanti cantieri e convince gli armatori a scegliere il Bangladesh come destinazione finale per far morire le navi.

La distruzione delle navi recuperandone i materiali è un processo impegnativo, dovuto alla complessità strutturale delle navi e a problematiche legate all’inquinamento ambientale oltre alla salute delle persone che ci lavorano. Le navi, ad esempio le petroliere, vengono distrutte gettando in mare i residui tossici e il fondo delle cisterne con il greggio.  Le conseguenze di tale incuria, negli anni, sono facilmente immaginabili e sono ignorate a causa dei vantaggi economici che tutti i contraenti, cantieri, armatori e governo, hanno da questo immenso business.

250 navi ogni anno vengono smantellate “A MANO” e i proprietari  che intendono sbarazzarsi dei loro giganti le vendono ai commercianti di rottami che si occuperanno di far cambiare bandiera alla nave e di portarla proprio nei cantieri di Chittagong.  Così un numero notevole di lavoratori ogni anno, ogni mese, ogni giorno perdono la vita per smantellare tutto quello che devono, a mano, senza caschi di protezione né guanti e respirando costantemente esalazioni nocive provenienti dalle cisterne.

_____

Questo reportage l’ho realizzato nel 2009 per conto del magazine “D” di Repubblica e in collaborazione con la giornalista Renata Pisu, allora inviata esteri del quotidiano.

Lo dedico a tutti quei lavoratori con i quali ho condiviso giornate e visto la loro fatica inumana, ai quei disperati che con forza e dignità rischiano la vita per cercare di sopravvivere in una realtà così lontana dalle nostre sicure certezze.

Ugo Panella

_____

UGO PANELLA. Inizia la carriera di fotogiornalista documentando i conflitti in Centro America alla fine degli anni ’70. In particolare la guerra civile in Nicaragua e più tardi quella in Salvador. In questo Paese ha realizzato un reportage in collaborazione con UNCHR ( alto Commissariato per i Rifugiati ) sugli atti di pace e la deposizione delle armi da parte del gruppo guerrigliero “Farabundo Martì“ alla fine degli anni ’80. Atti che ponevano fine ad un decennio di massacri. La passione per la fotografia di denuncia e impegno civile lo ha portato in vari luoghi del mondo dove la vita quotidiana è fatta di violenza e dove la dignità umana non ha valore.
In Bangladesh ha documentato la fatica di migliaia di uomini che nel porto di Chittagong smantellano navi cargo a due dollari al giorno, in condizioni di lavoro difficili. In Egitto, al Cairo, la vita in un cimitero abitato da un milione di senzatetto che hanno fatto delle tombe la loro dimora.
Sempre in Bangladesh, in collaborazione con l’inviata esteri di Repubblica Renata Pisu, ha realizzato un lungo reportage sulla condizione di migliaia di ragazze sfigurate dall’acido solforico perché rifiutano le “avances” di uomini violenti. Questo lavoro è stato pubblicato dalle maggiori testate internazionali ed ha costretto il governo di quella nazione a cambiare le leggi, introducendo la pena dei morte per chi si rende responsabile di un simile delitto. Il suo lavoro lo ha portato in Albania, centro e sud America, India, Sri Lanka, Filippine, Oman, Cipro, Palestina, Somalia, Etiopia, Sud Africa, Iraq, Afghanistan, Ucraina, Sierra Leone.
In Italia ha realizzato un lungo lavoro nell’Istituto Papa Giovanni XXIII° di Serra d’Aiello, in Calabria. Un istituto psichiatrico dove centinaia di persone vivevano in condizioni di abbandono. Questo reportage è diventato un progetto tradotto nel libro fotografico In direzione ostinata e contraria e in una mostra itinerante. Con Soleterre Onlus ha realizzato un lungo reportage sui tumori infantili derivanti da disastri ambientali, lavorando soprattutto in Ucraina ma anche in Marocco, Salvador e Guatemala. Da molti anni documenta in Afghanistan i progetti di microcredito della Fondazione Pangea Onlus, mentre il suo ultimo lavoro è dedicato ai flussi migratori in Africa, in modo particolare in Mali, Nigeria, Gambia e Senegal.
Nel 2009 ha vinto il premio Eugenio Montale per il fotogiornalismo.

https://ugopanella.it/

_____